Luz, il nocciolo dell’Immortalità

Mi sono sempre chiesto perché un osso che abbiamo in fondo alla nostra colonna vertebrale venisse chiamato osso sacro.

La mia curiosità per tutto ciò che è considerato sacro mi ha spinto ad iniziare una ricerca.

L'osso sacro è un unico osso derivante dalla fusione di cinque segmenti primitivi (vertebre sacrali), che fa seguito al segmento lombare della colonna vertebrale; con il coccige e con le due ossa dell'anca forma il bacino. Il sacro ha la forma di una piramide quadrangolare con base in alto e apice in basso.

Osso sacro deriva dal latino os sacrum, traduzione del greco hierón ostéon. Sul perché tale osso si chiami “sacro” esistono varie ipotesi.

Ippocrate è stato il primo a usare il termine hierón ostéon per indicare l’osso sacro: tuttavia hierón in greco significa non solo “sacro” ma anche “largo” o “grande”; dunque l’osso in oggetto si chiamerebbe così per un’errata traduzione dal greco.

Un’altra spiegazione potrebbe essere legata alla vicinanza ai genitali femminili e alla sua funzione protettiva dei genitali in genere, considerati “sacri” in quanto generatori di vita. Tuttavia, la natura sacra di quest’osso potrebbe essere ricondotta al fatto che esso fosse considerato la parte migliore degli animali da offrire nei sacrifici o, ancora, alla credenza popolare e religiosa secondo cui l’osso sacro sarebbe l’ultimo a disintegrarsi dopo la morte e dunque quello da cui rinascerà il corpo al momento della resurrezione.

L'idea che nel nostro corpo vi possa essere uno speciale osso dal quale, come una pianta dal proprio seme, si possa rinascere mi è parsa affascinante e mi ha rammentato, per analogia, il mito della Fenice che rinasce dalle proprie ceneri.

A proposito di albero che rinasce dal suo seme, il Maestro Kremmerz scrive:

“L'albero giunto alla fine della sua evoluzione, determina la sua morte e prepara il suo seme per la sua rinascita per ridiventare un'altra volta albero, quello che è stato e per cui ha elaborato la sua sementa.

L'uomo identicamente non fa che spogliarsi di un oggetto per rivestirne un altro. Tra una cosa e l'altra cura la completa evoluzione, diremo così, fetale, proprio come avviene al seme gettato nella terra per riprendere la sua forza.

In un primo stato avviene la separazione, maggiormente intelligente in uno, più o meno in un altro, secondo lo stato evolutivo delle persone.

Si spoglia anche di una parte grave pesante e resta una materia più sottile: un seme, il quale comincia a dimenticare la vita primitiva perché la sua unità è scomparsa. Quindi ha luogo il passaggio del Lete ed entra in uno stato di attrazione. Non appena trovato il momento fecondatore capace di ridonare la vita a questo seme, ritorna un'altra volta bambino e si evolve portando il bagaglio della esperienza precedente che si manifesta nel fanciullo con le tendenze naturali che, beninteso, prendono forma non ragionante (es.: i fanciulli prodigio)”.

Mario Krejis, in “Tshecundia, Ibis – La Magia dell'Anima”, scrive:

“Come il fiore rivive nel suo seme, che si riproduce germogliando non appena caduto nel terreno, così, disfacendosi il coefficiente formale di tutte le cose, la loro essenza si riproduce in nuove forme, vero Mercurio delle forme visibili, forza intrepida che vince le resistenze della materia per riaffermare la sua volontà creatrice”.

Circa la morte e la rinascita, Izar, Maestro del Kremmerz, ha scritto:

“La morte è l'uovo che si schiude dopo l'incubazione della chioccia”.

Il viaggio per l'eternità è un continuo embrionato che prepara continue nascite per lunghe serie di mondi.

Poiché Mercurio non sta mai fermo e un pensiero tira l'altro, ho pensato al Djed egizio, pilastro simbolo della stabilità e della colonna vertebrale, ed alla Kundalini, il serpente dormiente arrotolato alla base della colonna vertebrale.

Nella religione degli antichi Egizi, lo Zed (o Djed = "stabilità", "presenza") è la rappresentazione della spina dorsale del dio Osiride, re dell'Oltretomba. Per gli Egizi, la spina dorsale era sede del fluido vitale e simboleggiava la stabilità (?di, parola da cui ha origine "Djed", significa appunto "essere stabile") e la vita eterna. Il geroglifico che lo rappresenta somiglia a un pilastro.

Nell'induismo, Kundalini è l'energia divina che si ritiene risiedere in forma quiescente in ogni essere umano, sopita come un serpente avvolto su se stesso e localizzata alla base della spina dorsale.

 

La ricerca si faceva sempre più interessante.

Nella parte estrema della spina dorsale dell’essere umano risiede il Luz, più precisamente nell’osso sacro, di formazione triangolare e posto tra la terza vertebra lombare e il coccige.

Luz è una parola di origine aramaica, rimasta invariata sia nella lingua ebraica sia in quella araba, mantenendo in entrambe due significati simili:

“Luz”:

  • Mandorlo, sia come albero sia come frutto;
  • in particolare, Luz è il nocciolo duro che permette alla pianta di rinascere.


Il Luz è il nome che i sapienti della Qabbalah, ma anche i profeti ebrei, hanno dato alla divina scintilla intrappolata nell’osso sacro (parte considerata indistruttibile, inceneribile). Si tratta di quella potente energia di cui parlano tutte le tradizioni, la “scintilla”, che, se attivata, può portare al risveglio spirituale mediante i risvegli delle Nadi, dei Chakras, della Kundalini.

Tale risveglio libera l'individuo dalla catena dell’esistenza materiale, trasformando i risvegliati-iniziati in “sacerdoti” secondo la maniera di Melkizedek (il Re-Sacerdote di “Giustizia” e “Pace”).

Nell’Albero delle Sephiroth (i Cakra dello Yoga), nel suo asse centrale, il Luz viene celato in Yesod (il “Fondamento” – Muladhara Cakra nello Yoga).


Il viaggio iniziatico non può che cominciare dalla Città chiamata Luz quale punto di partenza necessario per poi vederlo compiersi a Betel, la Casa di Dio (il Cranio che ospita nel Cervello il riflesso di tutti i Cakra- Sephiroth). La Scala di Giacobbe suggerisce la figura dell’umana spina dorsale (da scalare, di Cakra-Sephiroth in Cakra-Sephiroth, dal “fondamento” – la base del pilastro del mondo – fino al “Cielo”, al cospetto di Dio).


Nel Luz risiede il segreto dell’immagine e della somiglianza dell’Uomo con Dio.

Il Luz è fondamentale sia perché permette, grazie alla sua alchimia spirituale, la reincarnazione dell’Anima ma anche la sua resurrezione (alba’th) – liberazione – in vita.

Il Luz risvegliato alla sua funzione divina riattiva, lungo il midollo spinale, tutti i “Centri” (Chakras, Sephiroth) che iniziano a vorticare secondo lo scopo della loro natura.

Tutte le “Fiamme della Salvezza” (i Maestri) che hanno dovuto affrontare un Sentiero di risveglio sono passati attraverso l’alchimia del Luz.

Enrico Cornelio Agrippa, alchimista ed esoterista del XV secolo, nella sua opera “La filosofia occulta”, scrive: “Nel corpo umano vi è un certo osso minimo, che gli ebrei chiamano luz, nella grossezza d’un cece mondato, che non è oggetto ad alcuna corruzione, che è vinto dal fuoco, ma si conserva sempre illeso, dal quale (come dicono) come una pianta da un seme, nella resurrezione dei morti il nostro corpo umano ripullula, e queste virtù non si dichiarano col ragionamento ma colla esperienza”.

Un osso, dunque, che conserva la nostra linfa vitale, la nostra anima, il ricordo delle nostre esperienze passate. Un osso che racchiude la nostra intera vita, o, stando alla leggenda, le nostre intere vite; tutte. Un osso che, grazie alla sua alchimia, permette all’anima di rinascere.

Tutto nel corpo umano si disintegra alla morte tranne un osso che è il punto terminale del coccige dal quale le creature sono nate e da cui risorgerà un nuovo corpo nell’ultimo giorno (Hadith del Profetta Maometto)

Fra le Tradizioni ve n’è una che presenta un interesse particolare. La troviamo nel giudaismo e concerne una città misteriosa chiamata Luz. Questo nome è in origine quello del luogo ove Giacobbe ebbe il sogno in seguito al quale lo chiamò Bethel, cioè Casa di Dio. È detto che l’Angelo della morte non può penetrare in questa città e non vi ha alcun potere.

Il termine Luz, nelle sue diverse accezioni, sembra peraltro derivare da una radice che designa tutto ciò che è nascosto, coperto, avviluppato, silenzioso, segreto. Luz è chiamata la Città Azzurra (Celeste) che è il colore del cielo (dal lat. Coelare, nascondere). La parola ha in ebraico il significato di Mandorlo o Nocciolo (…). Luz, inoltre è il termine assegnato a una particella corporea indistruttibile, rappresentata simbolicamente come un osso durissimo, particella alla quale l’anima rimarrebbe legata dopo la morte e fino alla resurrezione (…). Questo Luz contiene i germi, gli elementi virtuali necessari alla restaurazione dell’essere che si opererà attraverso la rugiada celeste, rivivificando le ossa disseccate…Essendo imperituro, il Luz è nell’essere umano il Nocciolo d’Immortalità, così come il luogo designato con lo stesso nome è il soggiorno d’immortalità. Ivi si arresta il potere dell’Angelo della Morte. È in un certo senso l’uovo o l’embrione dell’Immortale; può essere paragonato anche alla crisalide da cui deve uscire la farfalla; tale paragone traduce esattamente il suo ruolo in rapporto alla resurrezione.

Si usa situare il luz verso l’estremità inferiore della colonna vertebrale, il che può sembrare abbastanza strano ma può essere spiegato rifacendosi a ciò che la tradizione indù dice della forza chiamata Kundalinî, che è una forma della Shakti considerata come immanente all’essere umano. Tale forza è rappresentata dalla figura di un serpente arrotolato su se stesso, in una regione dell’organismo sottile corrispondente all’estremità inferiore della colonna vertebrale. Così, almeno, nell’uomo comune; ma, per effetto di pratiche come quelle dello Hatha-Yoga, essa si risveglia, si dispiega e si eleva attraverso le «ruote» (chakra) o «loti» (kamala) che corrispondono ai diversi plessi, per raggiungere la regione corrispondente al «terzo occhio», cioè l’occhio frontale di Shiva. Questo stadio rappresenta la restaurazione dello «stato primordiale», in cui l’uomo ritrova il «senso dell’eternità» e, in tal modo, ottiene quello che altrove abbiamo chiamato l’immortalità virtuale. Fino a quel punto siamo ancora nello stato umano; in una fase ulteriore, Kundalinî raggiunge finalmente la corona della testa e quest’ultima fase si riferisce alla conquista effettiva degli stati superiori dell’essere.

Scrive Abraxa (Ercole Quadrelli):

“Il Polo Nero a base dell'asse sidereo delle iniziazioni d'Oriente è il luz cabalistico alla base dell'osso sacro e della colonna spinale, detto “germe di resurrezione” - ed è la “pietra nera” posta nel Foro all'inizio della pagana via sacra”.

Facendo riferimento ad un osso sacro, nel romanzo “L'Angelo della finestra d'Occidente”, Gustavo

Meyrink scrive:

“[...] mi toccò la clavicola dicendo: “Questo è l'ossicino mistico che intendo io. Lo chiamano l'appendice del corvo. Vi si trova il sale segreto della vita. Esso non imputridisce nella terra. Per questo gli Ebrei hanno fantasticato circa una resurrezione nel giorno del Giudizio – […] lo so, perché in costoro l'ossicino splende di una luce, che gli altri non possono scorgere -”.

Mario Krejis, in “Tshecundia, Ibis – La Magia dell'Anima”, scrive:

“Secondo l'Ermetismo, esiste nel corpo un Centro energetico, localizzato nel plesso sacrale, che si risveglia ed esalta durante la copula …. Vi è però, durante l'amplesso, anche la manifestazione di un'energia diversa da quella fisica, una forza morale e mentale, che si sprigiona nell'imminenza dell'orgasmo e può essere proiettata dal corpo e dalla mente”.

Termino questo scritto sul Luz con un sintetico accenno tramandatoci dal Kremmerz:

 

“Esiste un punto (eterico) nel corpo umano – variabile da persona a persona – che, se conosciuto, attivizza l'Ibis”.

Dua-Kheti

Bibliografia:

Rosario Castello - Il “Luz”: Il Nocciolo dell'Immortalità
Enrico Cornelio Agrippa – La filosofia occulta
Federica Guglielmi - Luz, l'ebraico “nocciolo dell'immortalità”
Renè Guenon - Il Re del Mondo

 

Mario Krejis – Tshecundia, Ibis

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